martedì 26 febbraio 2013

Lost in Crystal Castels' land

Unici.
Continuerò a sostenerli, a seguirli, ma Alice Glass ed Ethan Kath, sono la fusione perfetta.
Un sound elettronico, sapientemente gestito dal polistrumentista Ethan, e una voce irripetibile, quella di Kath.
La presenza scenica è tutto: ieri sera, per il loro concerto all'Alcatraz di Milano, Kath si è presentata con un look grunge e i capelli tinti di viola.
Palcoscenico infiammato per due ore, luci che hanno accompagnato le performance, ed un pubblico totalmente partecipe: vi immaginate la sottoscritta a saltare ed urlare come se non ci fosse un domani?
I Crystal Castles vincono di nuovo.


Posso svelarvi il momento che più mi ha emozionato della serata?
Quando sono iniziate le prime note di "I'm not in love" - canzone che Alice canta ufficialmente con Robert Smith dei The Cure, ma che per l'occasione ne offre una versione in assolo - , il mio cuore ha iniziato a battere sempre, sempre più forte.
Potevo non riprenderla?
Lei che, fiduciosa dei suoi fan, si lancia letteralmente sulla folla.
Per coinvolgerci ancora, per coinvolgerci di più.
Buona visione!




Love
CM

sabato 23 febbraio 2013

Two Door Cinema Club @Magazzini Generali vs Mykki Blanco @Plastic


Prima volta ai Magazzini Generali di Milano per la sottoscritta!
E il battesimo è avvenuto in occasione del concerto dei Two Door Cinema Club, gruppo indie nordirlandese, capitanato dalla splendida voce del solista e fondatore Alex Trimble.
Tantissima gente accorsa per l'occasione, è stata la giusta ricompensa per dei ragazzi talentuosi come loro.
Un concerto che ha coinvolto il pubblico per due ore.
Fantastico!
Ma non è finita qui!
Perchè appena conclusa l'esibizione, con la mia best, siamo corse ad un altro live imperdibile.
Mykki Blanco per la prima volta in Italia, al Plastic!
Questo performer e rapper americano, ha portato in scena il suo miglior acid rap.
Interazione totale con tutti noi che stavamo lì sotto il palco a sostenerlo.
Che dire?
Una serata da brividi!
Vi propongo qualche secondo di assaggio riguardo cosa riesce a fare quest'uomo.
Go!Go Mykki!

Love
CM


venerdì 8 febbraio 2013

GUM & STIU' Anniversary Event

Si è tenuto ieri notte, nella spumeggiante location del Rocket (in Via Pezzotti 52 a Milano), il tanto atteso party per l'anniversario dei due negozi IT di Corso di Porta Ticinese.
Per quelli che ancora non li conoscono, voglio spendere due righe per presentarli:

- GUM: festeggia i suoi primi 3 anni di vita in Via Vetere.

Nato dall'idea di Stefano Terzuolo, questo nuovo hair salon irrompe nella scena milanese.

Anima vintage che si riflette anche nella scelta dell'arredamento.
Non a caso, il nome stesso deriva dalla famosa brillantina, usata negli anni '50 in America.
Poltrone da barbiere in pelle nera e nichel, specchi ispirati ai backstage degli anni '30: nonostante l'aspetto di barbiere old school, il salone si rivolge ad un pubblico femminile e maschile.
Una linea di prodotti per capelli, interamente studiata e voluta con ingredienti naturali, è possibile acquistarla in negozio o sul sito.
Un senior ed uno junior hair stylist si occuperanno di consigliarvi taglio e look, mentre una tecnica del colore si occuperà della scelta migliore per rifinire il tutto.
Insomma, un nuovo speciale salon di nicchia dove farsi belle/i e dove farsi coccolare.
Se vi incuriosisce, consultate il loro sito qui

- STIU': stanchi di non trovare mai il paio di scarpe diverso dal solito?
Stiù è ciò che può fare al caso vostro.
Festeggiando i 5 anni di apertura del negozio in Corso di Porta Ticinese 105, Stiù si è affermato come brand di scarpe uomo/donna.
Sempre attento alla migliore qualità e alla scelta dei pellami, il marchio ha un occhio attento nel proporre trend del futuro.
Scarpe da portare in città, ma anche da indossare nelle occasioni speciali.
Per tutte le esigenze, e per tutte le tasche!
Consigliatissimo anche lo shop online, che potete adocchiare qui.



Tutto questo per dirvi che il party è andato magnificamente: amici, colleghi, tante risate e dell'ottima musica.
Ad infiammare il palco del Rocket infatti, c'è stata una talentuosa nuova promessa: Beatrix Eli.
Dopo la sua performance, il dj set è stato presieduto dai 10 ML (Loris e Marco).
Insomma, per farvela breve: un SUCCESSO!


Love
CM

mercoledì 6 febbraio 2013

Bob Wilson: lezioni, testimonianze.


La mia intenzione nello scrivere questo post, non è quella di fare critica teatrale sui lavori del grande maestro Bob Wilson.

Piuttosto, voglio riportarvi il suo monologo, che ha aperto l'incontro tenutosi ieri sera presso il Teatro Franco Parenti di Milano.
Non vi nascondo che l'emozione è stata tanta, e che se anche alle 21 di sera di un giorno lavorativo l'attenzione può vacillare, il mio fedele registratore (ops,l'ho usato...era permesso?!) ha fatto pienamente il suo compito.
Così, oltre ad aver per sempre impresso su un nastro la voce (sì, è lei che ha il ruolo chiave), di uno dei più grandi registi e drammaturghi statunitensi contemporanei, riesco a riportarvi interamente le sue parole.
La sua vita, i suoi inizi, la sua ispirazione.


«Il motivo per cui faccio l’artista è farmi domande, è chiedere cos’è quella cosa e non dire cosa quella cosa è. Sono cresciuto in una piccola cittadina del Texas dove non c’erano teatri, gallerie d’arte o musei. Io non ero mai stato a teatro o a vedere un balletto. L’ho fatto a vent’anni quando mi sono trasferito a New York. A New York sono andato a vedere delle commedie a Broadway: non mi sono piaciute e non mi piacciono neanche oggi. Poi sono andato all’opera: non mi è piaciuta e non mi piace neanche oggi. Poi ho visto il lavoro di George Balanchine e mi è piaciuto e mi piace ancora oggi. Mi è piaciuto perché era  rappresentato in modo formale, mi è piaciuto il modo in cui i danzatori si comportavano sul palcoscenico: danzando soprattutto per se stessi senza dare troppa importanza al pubblico. Poi ho visto il lavoro di Cunningham e John Cage: mi è piaciuto e mi piace ancora oggi. Quello che vedevo con Cunningham e Cage era molto diverso da quello che sentivo, quello che vedevo non serviva a illustrare quello che sentivo, la struttura visiva e la struttura sonora erano concepite in modo separato e una volta abbinate conducevano a qualcosa di diverso rispetto a quello a cui conducevano se fruite separatamente, si rafforzavano senza sottolinearsi. Le prime influenze sul mio lavoro sono dunque state quelle di Balanchine, Cunningham e Cage, quindi: la danza. 
Nel ’67 feci un incontro che influenzò la mia carriera e cambiò la mia vita per sempre. Passeggiavo per strade del New Jersey e vidi un poliziotto che stava per colpire con un manganello un tredicenne afroamericano. Gli chiesi: “Perché vuoi colpire questo ragazzo?”, il poliziotto rispose: “It’s not your business”. Siamo andati in una centrale di polizia lì vicino e mentre camminavamo capii che il ragazzo era muto. Il ragazzo venne rilasciato e io lo accompagnai a casa sua: due stanze dove vivevano 13 persone. Il ragazzo, Raymond, era cresciuto in comunità rurali che non riuscivano a capire che il suo problema era quello di essere muto. Era diventato un delinquente. Per impedire che venisse rinchiuso in un istituto io, uomo single, mi rivolsi al tribunale per adottarlo: “Se non me lo affida, signor giudice, questo ragazzo costerà allo stato del New Jersey un sacco di soldi” – “Good point, man”. Così me lo affidarono. Mi resi conto che il ragazzo ragionava in termini visivi, a volte vedeva cose che io non vedevo perché mi occupavo solo di quello che sentivo. C’è un linguaggio nei corpi, un linguaggio il più delle volte impercettibile. Ed era questo linguaggio che Raymond riusciva invece a comprendere molto bene. Dal ‘68 al ‘71 realizzai con Raymond un’opera che durava sette ore ed era muta, si basava sulle osservazioni del ragazzo e sui suoi sogni. A Parigi siamo rimasti in scena cinque e mesi e tutte le sere lo spettacolo era esaurito con 2200 spettatori. Dopo di che mi propesero un’opera alla scala e una a Berlino, io dicevo che non sapevo nulla di teatro ed ero molto riluttante ad accettare queste proposte.
Il più grande insegnamento di Raymond io l’ho trasmesso ai miei attori, non mi stanco mai di ripetere loro: ascoltate col corpo, non con le orecchie.
Christopher Knowles è stato l’altro grande incontro assolutamente fondamentale per la mia vita artistica. Christopher Knowles era un ragazzo autistico che aveva inciso un nastro a mio avviso estremamente interessante. 
Io a quell’epoca stavo provando uno spettacolo che sarebbe durato dalle sette di sera alle sette di mattina, continuavo a pensare a mettermi in contatto con questo ragazzo, finché decisi di chiamare i genitori per proporgli di far venire Christopher a vedere l’opera a Brooklyn. Prima di andare in scena io devo concentrarmi molto, sono solito appendere fuori dal camerino una scritta: “non disturbare”. Questa scritta non fermò i genitori di Christopher che vennero a salutarmi mezz’ora prima dell’inizio dello spettacolo e così mi trovai davanti a Chris per la prima volta, gli chiesi: “Chris, vuoi far parte anche tu dello spettacolo stasera?”. Quella sera Chris venne con me sul palcoscenico, io iniziai a recitare il nastro che lui aveva inciso e Chris, che passava la maggior parte del tempo stando zitto, recitò insieme a me.
Una sera che eravamo insieme Chris si mise a recitare e io gli chiesi cosa stesse recitando, lui rispose: “una lettera alla regina Vittoria”. La mia opera successiva, la prima scritta, fu composta in collaborazione con Christopher Knowles e si intitolava “Una lettera per la regina vittoria”. La prima mondiale fu qui in Italia, al festival di Spoleto. Quando stavo facendo “Una lettera per la regina Vittoria” a Parigi decisi di chiamare mia nonna che all’epoca aveva novant’anni e non era mai uscita dal Texas, le chiesi di venire a Parigi per interpretare la regina Vittoria, lei rispose che ne sarebbe stata felice. Quando l’andai a prendere all’aeroporto le chiesi come stesse e lei mi rispose: “Bene, ma per rimanere in vita devo prendere nove pastiglie al cuore. Se non le predo tutte e nove collasso”. A mia nonna che interpretava la regina Vittoria nello spettacolo feci dire esattamente questa battuta: “Per rimanere in vita devo prendere nove pastiglie, se non le prendo tutte e nove collasso”. Mia nonna recitava la parte della regina Vittoria con gli occhiali da sole perché le luci del palcoscenico le davano fastidio.
Vorrei ora concludere parlando di “Hamlet” e della sua struttura, ricordando che in tutti i miei spettacoli io utilizzo una struttura che si rifà all’esempio dei classici. Come ho fatto in tutti i miei lavori precedenti per prima cosa ho stabilito tutti i movimenti; ho lavorato con un assistente, io improvvisavo concentrandomi sui gesti e sui movimenti e lui ne controllava l’effetto. Sul palcoscenico c’è una torre fatta di lastre sovrapposte e lo spettacolo inizia con Amleto sdraiato in cima alla torre. Si tratta di un monologo dove Amleto interpreta tutti i ruoli, parte dalla fine, dal momento poco prima della sua morte, per ripercorrere tutta la vita e arrivare nel finale alla morte vera e propria. Il cumulo di lastre di pietra si riduce durante lo svolgersi del monologo: alla fine dello spettacolo il palcoscenico è vuoto, sul palco vuoto c’è solo un baule e Amleto estrae dal baule tutti i costumi utilizzati durante lo spettacolo tranne quello di Gertrude.»



Dopo la sua performance sul palcoscenico, Bob ha lasciato spazio alla proiezione di alcune scene del suo "Hamlet".
La visione è stata però interrotta dall'improvviso suono dell'allarme antincendio.
Una delle geniali trovate di Wilson?
Se sono ancora qui a scrivervi, traete voi stessi le conclusioni.


Love
CM

domenica 3 febbraio 2013

Back to the 50's? Oh no darling, it's Aromando Bistrot!


"Una cucina come i vecchi tempi,
Una cucina dai mille profumi,Un tempo passato,Magari un amore felice,Magari due persone che sono invecchiate insieme."



Queste sono le sensazioni che ho avuto, durante la cena di ieri sera da Aromando Bistrot (Via Moscati 13, angolo Via Canonica, Milano).
Piatti sapientemente studiati in cucina dalla proprietaria Cristina, e in sala come sommelier, Savio Bina, marito di Cristina.
Un connubio che ha reso possibile tutto questo.
L'arredamento sembra quello delle vecchie cucine delle nonne, con strutture in formica anni '50/'60 che fanno da separatori tra i diversi ambienti.
Posate di fregio antico, bicchieri Baccarat in vetrina, boquet di aromi come centro tavola.
La mia portata del cuore?
Il dolce!
Una crostatina (che poi tanto piccola non era!) con crema di limone e crema di pistacchi.
Libidine pura!
CONSIGLIATO, per tornarci spesso, spessissimo!

Love
CM